Questa malattia è una delle poche, fortunatamente, malattie genetiche che sono associate alla razza basenji, insieme alla sindrome di Fanconi e all’atrofia progressiva della retina (PRA).
Niente di nuovo sotto il sole, infatti risale al 1969 il primo studio scientifico sull’anemia emolitica nel basenji, e già qualche anno dopo è stata appurata la trasmissione genetica di tipo autosomico recessivo (E.Andersen, 1977 Haemolytic anaemia in Basenji dogs I. Genetic investigations).
Cosa significa questo tipo di ereditarietà? Significa che un cane può ammalarsi di anemia emolitica solo per via ereditaria, deve cioè ricevere un gene “malato” dalla madre e un gene “malato” dal padre, ma può significare anche che i genitori non devono essere necessariamente malati di anemia emolitica, ma possono essere portatori sani. Per capire fino in fondo la questione è utile fare un esempio e rendere esplicite le probabilità.
Da un accoppiamento di due cani portatori sani di anemia emolitica abbiamo:
- il 25% di possibilità che ogni loro cucciolo non erediti i geni difettosi, non abbia l’anemia e non potrà quindi trasmetterla alla prole futura
- c’è la stessa possibilità, ovvero 1 su 4, che ogni loro cucciolo erediti entrambe le copie del gene difettoso e nasca quindi affetto da anemia emolitica;
- infine, i riproduttori in questione hanno il 50% di possibilità, ovvero 1 su 2, che ogni loro cucciolo erediti una sola copia del gene difettoso e che quindi divenga, a sua volta, un portatore sano di anemia.
In Italia, grazie a un discreto lavoro degli allevatori negli anni 1990-2000, l’anemia emolitica è stata eradicata dai basenji riproduttori. Questo significa che gli allevatori hanno, piano piano, accoppiato solo cani che non portavano i geni dell’anemia. I frutti di questo lavoro ci hanno consentito di dormire sonni tranquilli e, nel corso degli anni, si è smesso di testare i riproduttori per cercare questa brutta malattia. Con l’apertura delle frontiere e la relativa facilità con cui è possibile negli ultimi tempi importare cuccioli dall’estero, la popolazione dei basenji italiani è aumentata in numero e in varietà, portando sia nuove linee di sangue, ma anche cani potenzialmente portatori di questa malattia.
Difficile, se non impossibile, risalire a quando e come sia successo, se si sia peccato di superficialità, di poca consapevolezza, o perché i test genetici hanno un costo, ma una cosa è certa, oggi, in Italia, ci sono basenji portatori sani di anemia emolitica. Vista l’attenzione crescente che questa razza sta riconquistando, e visti gli strumenti a disposizione di allevatori professionali, amatoriali e singoli privati, è importante riportare alta l’attenzione verso una malattia così pericolosa, invalidante e terribile, ricorrendo ai test genetici sui riproduttori. L’obiettivo è quindi di evitare l’accoppiamento tra cani portatori sani. Rivediamo le percentuali scritte poco sopra con un esempio pratico: se una cucciolata tra due soggetti portatori genera 4 cuccioli, stando alle probabilità avremo:
1 cane sano (senza geni malati),
2 cuccioli portatori sani (solo un gene malato su due),
1 cucciolo malato (due geni malati).
Il test genetico che permette di individuare se il cane è malato, portatore sano o, in gergo “clear”, ovvero “pulito”, senza geni malati, è disponibile da parecchi anni e si chiama “Deficienza di Piruvatochinasi - PCR”, in inglese “Pyruvate kinase deficiency”, indicato con la sigla PK. Il costo del test si aggira attorno ai 60 euro per i privati, un costo irrisorio se paragonato al conto salato dal veterinario quando si mette in terapia il proprio cane affetto da anemia, per non contare il dolore emotivo che deriva dal vederlo soffrire.
Testare i riproduttori per Fanconi, PRA e Anemia Emolitica permette di allevare con consapevolezza e rispetto verso in primis i cani, e verso le persone a cui vengono affidati. Non dimentichiamolo mai.